Lascia fare a me
“In quel momento avrei dovuto ringraziare il Ciccione per la sua gentilezza, riprendere la cartellina con il mio romanzo e ritornarmene di gran carriera nella tiepida solitudine del mio appartamento. Sono uno scrittore. Non Philip Marlowe. Non avrei dovuto accettare neanche una ricerca alla Biblioteca Nazionale. Ma da queste parti non esiste la professione di scrittore, il quale è costretto a fare qualsiasi cosa, tranne – naturalmente – scrivere, se vuole continuare a sopravvivere.”
CONSIGLIATO DA: Valeria
Mario Levrero
Mario Levrero, all’anagrafe Jorge Mario Varlotta Levrero, è stato uno scrittore, fotografo e fumettista uruguaiano che nel corso della sua carriera si è impegnato anche in altri campi: è stato infatti libraio, umorista e anche creatore di cruciverba e giochi da tavolo. Negli ultimi anni della sua vita dirigeva un laboratorio di scrittura creativa.
Levrero visse la maggior parte della sua vita a Montevideo, sua città natale, con soggiorni più o meno prolungati in altre città uruguayane (Piriápolis e Colonia), in Argentina, a Buenos Aires e Rosario, e in Francia, a Burdeos. Cominciò a pubblicare alla fine degli anni sessanta per editori di Montevideo e di Buenos Aires. L’opera di Levrero si compone, in parti più o meno uguali, di romanzi brevi e di raccolte di racconti di diversa lunghezza. Nei suoi ultimi anni produsse alcune opere che per comodità si definiscono romanzi ma che aspirano ad essere un genere a sé stante, tra saggistica, narrativa e autobiografia. Nel panorama della letteratura uruguayana contemporanea, Levrero spicca come l’ultimo autore di culto del XX Secolo. La sua fama andò crescendo lentamente a partire dagli anni ottanta, ma paradossalmente rimanendo sempre un autore di nicchia. Levrero non guadagnò mai importanti riconoscimenti pubblici, a parte una borsa di studio Guggenheim nel 2000, che gli permise di dedicarsi alla redazione della sua ultima opera, La novela luminosa (Romanzo luminoso). Questa sorta di diario narrativo, insieme al precedente El discurso vacío (Il discorso vuoto), sono considerati i suoi capolavori per la loro complessità affabulatoria.
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